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Nella selva oscura

Fig. 1: inizio del viaggio ultraterreno. A sinistra, Dante dorme comodamente sotto le coperte; a destra, l’oggetto del sogno, ossia lo smarrimento nella selva oscura. Miniatura della prima metà del XIV sec. (in Egerton MS 943, British Library). Da notare lo scarso interesse verso una corretta prospettiva spaziale, carattere tipico dell’arte medievale.

Nel mezzo del cammin di nostra vita

mi ritrovai per una selva oscura,

ché la diritta via era smarrita

(Inf. I 1-3)

 

La partenza del viaggio dantesco

La terzina appena citata non ha certo bisogno di presentazioni: è l’incipit dell’opera più famosa della letteratura italiana, studiata da migliaia di studenti che per tutta la vita ricordano a memoria i versi con cui Dante annuncia l’inizio del proprio viaggio oltremondano. Il poeta stesso si preoccupa di fornire gli elementi chiave per comprendere l’avvio narrativo: nei primi tre versi, infatti, viene spiegato il quando, il dove, il perché (elementi essenziali nel processo informativo che gli inglesi chiamerebbero when, where, why).

Si parta dal when: «nel mezzo del cammin di nostra vita» è l’espressione utilizzata in riferimento alla data del viaggio. Nel formularla, certamente Dante aveva in mente due testimonianze bibliche. La prima è costituita dalle parole del profeta Isaia, il quale affermava ego dixi: in dimidio dierum meorum vadam ad portas inferi (38.10), ovvero “io ho detto: nel mezzo dei miei giorni andrò alle porte del regno dei morti”. La seconda, più rilevante ai fini della datazione del passo in esame, è il Salmo 89.10: dies annorum nostrorum in ipsis septuaginta anni. Si autem in potentatibus octoginta anni, et amplius eorum labor et dolor (“i giorni dei nostri anni arrivano a settant’anni. Se per i più forti arrivano a ottanta, più grande è la loro fatica ed il loro dolore”). Dunque, se settanta sono gli anni in cui mediamente vive un uomo, il «mezzo del cammin» è rappresentato dai trentacinque anni, che Dante aveva compiuto alla fine del Maggio del 1300[1]. Tuttavia, il viaggio di Dante non inizia nel Maggio 1300, ma un po’ prima: in base a Inf. XXI 112-114 e a Purg. II 98s., l’azione della Commedia deve essere collocata inequivocabilmente nel Marzo 1300. Da notare l’uso del possessivo «nostra» ad indicare la vita sia di Dante sia dell’intera umanità.

Nel secondo verso, Dante illustra il where, ovvero la selva in cui si ritrova. Quest’ultimo verbo (preferito al più scialbo “trovarsi”) esprime qualcosa di più di un puro e semplice esserci: il poeta si ritrova nella selva perché in essa aveva vissuto fino ad allora. Verbo fortemente aoristico (a segnalare il carattere improvviso di una percezione), il ritrovarsi significa prender coscienza del traviamento ed iniziare il percorso per uscire alla luce del sole. La vita precedente al momento della consapevolezza non trova spazio qui, evidentemente perché Dante non vuole fornire dettagli circa la propria esperienza nella selva buia del peccato: ciò che gli preme è uscire allo scoperto e iniziare il cammino verso la luce, perché solo dove c’è luce c’è Dio. Si noti la contrapposizione «nostra vita»/«mi ritrovai»: il viaggio ultraterreno viene compiuto per la salvezza non solo di Dante, ma anche dell’umanità tutta. E narrare da auctor quanto si è vissuto da agens permette una superiore intuizione delle proprie esperienze (del resto, Pasolini sosteneva che l’uomo si fosse «reso conto della realtà soltanto quando, con il teatro, è stato in grado di rappresentarla»).

Il motivo (why) del traviamento è la perdita della via del bene (esplicitamente contrapposta alla selva oscura), quella che soltanto conduce alla salvezza divina. Il topos della strada (tortuosa oppure dritta), a ben vedere, possiede ascendenze bibliche: in particolare, in un passo dei Proverbi (2.13), l’uomo viene invitato a guardarsi “da coloro che abbandonano i retti sentieri per camminare nelle vie delle tenebre”, dunque dalle persone «i cui sentieri sono tortuosi e le cui strade sono distorte» (2.15). Per questo le Scritture esortano a rendere diritta la via del Signore (cf. Gv. 1.23). Per tornare alla Commedia, appare curioso che alla causa motrice dell’intero viaggio (il traviamento nella selva del peccato, appunto) sia dedicato uno spazio così esiguo. Forse Dante aveva previsto una tale osservazione, a tal punto che sente il dovere di giustificarsi ai vv. 10-12: egli non sa dire come ebbe inizio lo smarrimento perché in quel momento era molto assonnato. La metafora (di origine scritturale) si riferisce al torpore dell’anima, dunque al sonno della ragione, quello che secondo Goya genera mostri e che, fuor di metafora, conduce al peccato per via di un’eccessiva pigrizia nel perseguire il bene[2].

La selva oscura della politica fiorentina

Cosa stava facendo Dante nel Marzo del 1300? In quei mesi, il Sommo poeta si trovava profondamente immerso nella convulsa vita politica di Firenze: era ormai una figura di primo piano, tant’è che pochi mesi dopo avrebbe raggiunto i vertici della carriera, ricoprendo la carica di priore in un momento assai drammatico per la città. La situazione nel comune di Firenze era particolarmente esplosiva: alla tradizionale divisione tra Guelfi (teoricamente sostenitori del papa) e Ghibellini (teoricamente sostenitori dell’imperatore) si era aggiunta una profonda spaccatura interna alla pars guelfa: i Neri, capeggiati dalla famiglia Donati, erano contrapposti ai Bianchi, capeggiati dalla famiglia Cerchi. L’intricata trama era resa più complessa dall’appoggio ghibellino al partito bianco, dal favore di cui i Neri godevano presso papa Bonifacio VIII e dalle tensioni sociali provocate dalla classe magnatizia. Insomma, allora come ora la politica era uno sporco affare, dominato da intrighi e da mosse poco trasparenti, di cui Dante era certamente a conoscenza. Pertanto, la prima terzina infernale deve essere letta in riferimento a tale situazione: durante i drammatici eventi del 1300, Dante rischiò di cadere nel peccato perché troppo invischiato in questioni mondane. Nei due mesi del priorato (Giugno-Agosto 1300), egli dovette tentare trattative e prendere decisioni radicali per allontanare il rischio di una pericolosa guerra civile. Tra queste ultime, non si può non menzionare il provvedimento d’esilio emesso ai danni di Guido Cavalcanti, l’amico di sempre che si era reso protagonista di un’incresciosa rissa a sfondo politico.

In conclusione, può essere interessante spendere qualche parola sugli inizi dell’attività politica di Dante: nel 1290, a séguito della morte di Beatrice, egli aveva scritto la prima epistola pubblica con la quale illustrava ai «principi de la terra» le condizioni luttuose in cui versava la città. I documenti si fanno più numerosi nel periodo tra il 1295 ed il 1301, all’indomani dell’entrata in vigore degli Ordinamenti di giustizia (1293) che escludevano dal potere la classe magnatizia in favore dei popolani iscritti ad un’Arte. Per poter partecipare al governo del comune, Dante si iscrisse all’Arte dei Medici e Speziali. Sappiamo che parlò più volte nei consigli cittadini, ciò che dimostra che era considerato uomo di assoluta fiducia: ad esempio, nel Dicembre 1295, quando si trattò di discutere circa le modalità dell’elezione dei priori, oppure nel Giugno 1296, quando fu approvato l’allargamento delle facoltà di rappresaglia contro i magnati (e Dante parlò a favore di tale provvedimento, dal momento che doveva proteggere il proprio governo di popolo dalle ingerenze aristocratiche).

[1] Era l’anno del primo Giubileo nella storia della Chiesa cattolica, indetto da papa Bonifacio VIII: chiunque si fosse recato a Roma avrebbe ottenuto l’indulgenza plenaria, ossia la completa purificazione da tutti i peccati..

[2] Alcuni studiosi ritengono che l’immagine del sonno sia stata ispirata anche dalla personale esperienza dantesca con la narcolessia. Alla base di tale teoria è uno studio di Giuseppe Plazzi intitolato Dante’s Description of Narcolepsy (in «Sleep Medicine» XIV 2013, 1221-23). Diversa è l’opinione di Marco Santagata, secondo il quale il Sommo poeta avrebbe sofferto di epilessia (vd. Dante. Il romanzo della sua vita, Milano 2012, 32-35). Tali ipotesi, ancorché affascinanti, rimangono tuttavia indimostrabili.

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