Fig. 1: Presunto ritratto di San Francesco, opera di Cimabue (XIII sec.).
Non era ancor molto lontan da l’orto,
ch’el cominciò a far sentir la terra
de la sua gran virtute alcun conforto;
ché per tal donna, giovinetto, in guerra
del padre corse, a cui, come a la morte,
la porta del piacer nessun diserra.
(Par. XI 55-60)
San Francesco e San Domenico prìncipi della Provvidenza
L’undicesimo canto del Paradiso è ambientato nel cielo del Sole, sede degli spiriti sapienti. Tali anime, caratterizzate da eccezionale luminosità, hanno appena concluso un’armoniosa danza attorno a Dante e Beatrice. Il Sommo poeta è rapito da cotanto splendore celestiale, e non può fare a meno di contrapporre la propria beatitudine alla meschina condizione degli uomini sulla terra, indaffarati alla ricerca di falsi beni (vv. 1-12). Dopo le riflessioni di Dante, San Tommaso prende la parola e spiega che la divina Provvidenza ha inviato «due prìncipi» (v. 35) sulla terra per rendere la Chiesa più salda e più fedele agli insegnamenti evangelici di Cristo (vv. 28-36)[1]. Si tratta di San Francesco, ardente di carità come un Serafino, e di San Domenico, sapiente come un Cherubino. Tommaso dichiara di voler parlare solo del primo: infatti, le vite di questi due santi mirarono ad un medesimo fine, per cui «d’amendue/si dice l’un pregiando» (vv. 40s.). La narrazione inizia con un’elegante perifrasi che descrive il luogo di nascita di Francesco, la cui menzione esplicita è ritardata per creare una sorta di effetto-attesa. Tra i fiumi Topino e Chiascio digrada il fertile e dolce declivio del monte Subasio, rilievo che influenza positivamente il clima di Perugia. Proprio su questo versante poco ripido sorse un sole per tutto mondo, proprio come il sole fisico sorge dalle acque del Gange (v. 51). Chi vuole riferirsi a tale città «non dica Ascesi, ché direbbe corto/ma Orïente» (vv. 53s.). Infatti, denominare Assisi (Ascesi è forma toscana) quella città sarebbe riduttivo: Francesco, sole di carità per gli uomini, deve dirsi nato in Oriente, così come Domenico deve dirsi nato in Occidente (in tal modo, l’influenza dei due santi giunge a comprendere idealmente l’intero mondo abitato). Ancora giovane, Francesco entrò in conflitto con il padre per amore di una donna da tutti rifiutata, ovvero quella Povertà che nessuno aveva più voluto dopo la morte di Cristo ma dalla quale tutti erano fuggiti come davanti alla morte in persona. Col tempo, la coraggiosa scelta di Francesco produsse i suoi frutti e fece accorrere un crescente numero di fedeli al séguito del ‘poverello di Assisi’. L’ordine nascente trovò iniziale approvazione prima da parte di Innocenzo III (1209), poi da parte di Onorio III (1223). A questo punto, Tommaso narra il viaggio compiuto in Oriente con lo scopo di convertire al cristianesimo il sultano d’Egitto. Tuttavia, la riluttanza della popolazione locale convinse il santo a rientrare in Italia, dove ricevette la terza, definitiva approvazione: «nel crudo sasso intra Tevero e Arno/da Cristo prese l’ultimo sigillo,/che le sue membra due anni portarno» (vv. 106-108). Le stimmate, insomma, costituirono la conferma definitiva della condotta di vita francescana. Nell’Ottobre del 1226, sentendo appressarsi la morte, Francesco raccomandò ai propri discepoli la donna tanto amata, dal cui grembo «l’anima preclara/mover si volle, tornando al suo regno,/e al suo corpo non volle altra bara» (vv. 115-117). Tale espressione sottolinea perfettamente l’ideale di umiltà che Francesco aveva adottato come modus vivendi.
Gli ordini mendicanti nel Medioevo
Fig. 2: “Predica davanti a Onorio III”, affresco di Giotto (fine XIII sec.).
Come reazione alla diffusione dei movimenti ereticali, nella prima metà del XIII sec. nacquero importanti ordini religiosi. Questi ultimi rimanevano nell’alveo dell’ortodossia ed erano caratterizzati da una regola di vita comune e dall’espressione dei voti di obbedienza, povertà e castità. Tali ordini, che miravano a diffondere il messaggio evangelico attraverso l’azione pastorale e caritativa, non aderivano ai tradizionali modelli di vita monastica, ma operavano nella concreta realtà sociale, soprattutto all’interno delle città più popolose. Notevoli furono le esperienze di Domenico di Guzmán e di Francesco d’Assisi. Entrambi predicavano l’esigenza di un ritorno alla povertà evangelica. Gli ordini da essi fondati furono detti ‘mendicanti’ in quanto i loro monaci non possedevano beni ma vivevano delle elemosine e delle offerte dei fedeli. La dottrina sostenuta da Domenico poggiava su una solida cultura teologica e sulla predicazione del Vangelo. Solo una grande conoscenza delle Scritture era in grado di garantire l’ortodossia e combattere le eresie. Non è certo un caso se, negli anni seguenti alla nascita dell’ordine domenicano, diversi suoi esponenti divennero inquisitori oppure professori di teologia nelle più importanti università europee. Francesco fu illustre esempio di una vita improntata alla povertà, all’umiltà, agli ideali di pace e fratellanza. Del santo di Assisi è doveroso ricordare un celebre componimento che costituisce il primo testo poetico della letteratura italiana, redatto in volgare umbro. È il “Cantico delle creature”, un vero e proprio inno alla vita che propone un’idea di fratellanza tra l’uomo e l’intero creato.
[1] Lo spunto dell’elogio è costituito da un dubbio del poeta fiorentino, il quale non ha ben compreso il passaggio in cui Tommaso parlava della possibilità di arricchimento spirituale per tutti coloro che avessero aderito ai dettami di San Domenico senza lasciarsi traviare dai piaceri terreni (vd. Par. X 94-96). Questa precisazione sull’eventualità di una deviazione è ciò che fa nascere il dubbio di Dante, risolto solo quando Tommaso rivela l’esistenza di molti domenicani corrotti (Par. XI 118-139).