L’alba vinceva l’ora mattutina
che fuggia innanzi, sì che di lontano
conobbi il tremolar de la marina.
Noi andavam per lo solingo piano
com’om che torna a la perduta strada,
che ‘nfino ad essa li pare ire in vano
(Purg. I 115-120) [1]
L’ingresso in Purgatorio
La seconda cantica della Commedia inizia con l’invocazione alle Muse, alle quali Dante si rivolge per chiedere ispirazione poetica. Il poeta, nel proclamare l’oggetto della propria narrazione, fornisce le prime indicazioni circa la natura del secondo regno oltremondano: «e canterò di quel secondo regno/dove l’umano spirito si purga/e di salire al ciel diventa degno» (vv. 4-6). Dopo aver sperimentato l’aria fetida e oscura dell’Inferno («che m’avea contristati li occhi e ‘l petto», v. 18), Dante adesso è felice di poter nuovamente vedere il cielo che assume il colore dello zaffiro orientale. Come ogni essere umano che si trovi in un ambiente nuovo, il poeta registra tutto ciò che vede e percepisce. In particolare, appaiono in tutto il loro splendore quattro stelle rappresentanti le quattro virtù cardinali (temperanza, fortezza, giustizia, saggezza). Appena Dante distoglie lo sguardo da cotanto splendore naturale, scorge subito il custode del Purgatorio, «un veglio solo,/degno di tanta reverenza in vista» (vv. 31s.), illuminato in pieno dalle quattro virtù cardinali che furono così tanto presenti nella sua vita. Si tratta, come si scoprirà ai vv. 73-75, di Catone l’Uticense, il politico romano che, per difendere i valori delle istituzioni repubblicane, si oppose fermamente allo strapotere di Cesare e si uccise per non assistere all’affermazione del tiranno. Il lettore si potrà chiedere il motivo per cui ad un pagano (per di più suicida) sia stata destinata la custodia del secondo regno ultramondano: il fatto è che la teologia medievale ammetteva la salvezza per pagani particolarmente nobili. E Catone era una figura positiva in quanto diede la vita per amore della libertà, e il suo gesto costituì esempio d’incorruttibilità morale per tutti gli uomini a venire. In un primo tempo, l’Uticense crede che Dante e Virgilio siano fuggiti dall’Inferno, ma il poeta latino si affretta a precisare che non sono state violate le «leggi d’abisso» (v. 46): infatti, quel viaggio è voluto dal Cielo affinché Dante (anima ancora in vita) venga salvato dal traviamento del peccato. A questo punto, Catone spiega che per affrontare la salita purgatoriale Dante deve essere cinto con un giunco e deve essere purificato dalla caligine infernale con la rugiada. Ormai, le prime luci dell’alba stanno vincendo le tenebre, così che Dante può vedere distintamente il tremolio della superficie del mare (vv. 115-117). Il tragitto verso la riva è come un ritrovare la strada perduta dopo un faticoso cammino apparentemente inutile (perché non si sa dove si sta andando) ma in realtà finalizzato al raggiungimento della «diritta via» (vv. 118-120). Dante viene purificato dalle brutture infernali e viene cinto dal giunco, pianta molle e flessibile che simboleggia umiltà, ossia quella disposizione d’animo necessaria all’adeguamento al volere di Dio.
La nascita del Purgatorio
Il Purgatorio (dal lat. purgare, ‘purificare’), inteso come luogo oltremondano ben definito, non è mai citato dalla Bibbia e pertanto non appartiene alle credenze originarie della cristianità. Solo tra il XII e il XIII sec. la rigida contrapposizione Inferno-Paradiso viene arricchita dall’ideazione di un regno intermedio (riconosciuto nel Concilio di Lione del 1274) nel quale le anime possano liberarsi dai peccati. Nel pronunciamento dello stesso Concilio, si legge: «se, sinceramente penitenti, essi [=i peccatori] muoiono … prima di avere … riparato ciò che hanno commesso o omesso, le loro anime … sono purgate dopo la morte da pene purgatorie o purificatrici, e, per il sollievo di tali pene, sono loro utili i suffragi dei fedeli viventi, cioè i sacrifici delle messe, le preghiere, le elemosine e le altre opere di carità che i fedeli sogliono offrire per gli altri fedeli secondo le istituzioni della Chiesa». Come ha ben illustrato Jacques Le Goff ne La nascita del Purgatorio (1981), l’invenzione di un regno intermedio fu diretta conseguenza del mutare delle strutture sociali, politiche, economiche e servì alla Chiesa per accrescere il proprio potere temporale. Quest’ultimo, infatti, venne esteso alla sfera oltremondana (fino ad allora esclusivo appannaggio della divinità) attraverso il sistema delle indulgenze, con il quale la Chiesa rimetteva le colpe in cambio di offerte (spesso in denaro). La nascita del Purgatorio infuse speranze di salvezza nelle nuove categorie professionali in ascesa: anche gli usurai potevano evitare l’Inferno attraverso un sincero pentimento. L’appiglio teologico per legittimare l’esistenza del regno intermedio venne trovato nei passi biblici che invitano a pregare per i defunti (cf. 2Macc. XII 46: “santo e salubre pensiero è pregare per i defunti, affinché siano liberati dai peccati”). Dice San Tommaso commentando questo passo: «ma per i defunti che sono in Paradiso, non c’è da pregare, perché essi di nulla hanno bisogno; né per altro per quelli che sono all’Inferno, perché essi non possono essere assolti dai peccati. Ergo dopo questa vita ci sono alcuni non ancora assolti dai peccati, che possono esserne liberati … Ergo una qualche forma di purgazione rimane dopo questa vita»[2].
Prima di Dante si riteneva che in Purgatorio venissero espiati i peccati veniali: questa idea è espressa all’interno di una lettera pontificale di Innocenzo IV: «in tale fuoco temporale, infatti, sono purgati i peccati, non certo i crimini e le colpe capitali, che non siano stati rimessi in precedenza con la penitenza, ma i peccati lievi e minimi; se non sono stati rimessi nel corso dell’esistenza, essi gravano l’anima dopo la morte». Quanto alla collocazione del Purgatorio, secondo il teologo Ugo di San Vittore (1096-1141) le anime purganti sarebbero punite in quei luoghi nei quali commisero le loro colpe. San Tommaso (Super libros sententiarum IV 21) riporta un racconto di Gregorio Magno, il cui fratello avrebbe visto un’anima che pativa le pene del Purgatorio in una stazione termale. Se ne potrebbe concludere che le anime non si purgano in un luogo infernale, ma in questo mondo. Tuttavia, San Tommaso si dissocia da tale teoria: pur affermando l’impossibilità di dire con certezza dove si trovi, avanza l’ipotesi secondo cui il Purgatorio sia collocato nelle vicinanze dell’Inferno, dal momento che lo stesso fuoco punisce il peccatore e purifica l’eletto, così come lo stesso fuoco brucia la paglia e purifica l’oro.
La sistemazione dantesca
Rispetto al quadro sopra delineato, Dante apporta sostanziali innovazioni. Innanzitutto, nel regno intermedio non vengono espiati i peccati veniali, ma i sette peccati capitali, proprio come all’Inferno. A rigor di termini, però, nel Purgatorio dantesco non vengono espiati i peccati (già perdonati da Dio nel momento del sincero pentimento) ma le tendenze peccaminose legate alle diverse disposizioni psicologiche. Le pene purgatoriali servono alle anime a contrastare tali disposizioni, e pertanto sono accettate con gioia. In secondo luogo, il Purgatorio non è più un luogo terreno, ma un regno oltremondano autonomo e parificato all’Inferno e al Paradiso. Infatti, esso nacque contemporaneamente all’Inferno, quando Lucifero, scagliato lontano dal cielo, cadde al centro della Terra, che si ritrasse per timore del contatto col diavolo. Così, si formò la voragine infernale e, nell’emisfero inverso, la montagna del Purgatorio. In quanto calco perfetto dell’Inferno, il Purgatorio ne replica i peccati, ma in successione inversa (dai più gravi ai più lievi). Se l’Inferno era un luogo senza tempo, in Purgatorio si alternano il giorno e la notte, e le anime si purgano in maniera progressiva, secondo una ‘storia’ in svolgimento. La purificazione avviene attraverso tre modalità: la pena (che, come si è detto, comporta una sofferenza risanatrice), la preghiera (elevata dalle anime che chiedono il soccorso divino), gli esempi (ripresi dai testi cristiani oppure dagli autori classici) di virtù positive da imitare. Una volta concluso il processo di purgazione e bevuto alle acque dei fiumi Lete ed Eunoè, le anime possono finalmente accedere al Paradiso. In conclusione, la seconda cantica si configura come la più umana, dal momento che le anime da un lato sono ancora attaccate a sentimenti terreni, dall’altro sono proiettate verso la salvezza, un po’ come accade agli uomini che cercano il distacco da pulsioni e sentimenti mondani per avvicinarsi a Dio.
[1] La fig.1 è parte dei numerosi disegni della Commedia di Federico Zuccari, pubblicati sul sito-web della Galleria degli Uffizi in occasione dei 700 anni della morte di Dante (https://www.uffizi.it/mostre-virtuali-categorie/a-riveder-le-stelle).
[2] Nell’opera Super Libros sententiarum (IV, 21 n. 1), Tommaso d’Aquino (1225-1274) riporta argomenti in favore e contro l’esistenza del secondo regno. Tra questi ultimi, viene citato un passo dell’Apocalisse (XIV 13) in cui si legge «beati i morti che muoiono nel Signore. Dice infatti lo spirito che riposino in pace dalle loro tribolazioni»: il Purgatorio non esisterebbe perché a quanti muoiono in grazia di Dio non rimane alcuna tribolazione purgatoria dopo questa vita, mentre coloro che non muoiono in grazia di Dio non possono essere purgati.